Messaggio del SGC Luigi Milazzi – Equinozio di Primavera 2015

Ill.mo e Pot.mo Fratello S.G.C. per la Turchia e Ill.mo e Pot.mo Fratello S.G.C. per il Lussemburgo, Ill.mo G.M. del Grande Oriente d’Italia,  Ill.mi e Pot.mi MM. AA. delle Delegazioni straniere e del Supremo Consiglio  d’Italia, miei pari,  carissimi Fratelli di ogni Grado e Dignità.

La Carta istitutiva del Supremo Consiglio del R.S.A.A. fu sottoscritta a Parigi il 16 marzo 1805 per iniziativa di un nucleo di alti dignitari del Supremo Consiglio di Francia d’intesa con alcuni autorevoli rappresentanti della Repubblica Italiana  che stava per essere trasformata in Regno d’Italia. Lo stesso giorno Eugenio di Beauharnais, designato SGC del Supremo Consiglio entrava a Milano per porta Marengo, accompagnato da cacciatori e granatieri della guardia imperiale, da gendarmeria scelta e mamelucchi fedelissimi dell’Imperatore. Da colonello era stato elevato il 1° febbraio a principe e cancelliere dell’impero. Non fu quindi un  fatto banale nella storia della massoneria italiana, ma una propria e vera “svolta” nella storia d’Italia.

Regista di quest’avvenimento era stato il conte Augusto di Grasse-Tilly,  in virtù dei poteri conferitigli dal S.C. della giurisdizione Sud degli USA, madre del mondo. Tilly era aiutante del maresciallo Kellerman, massone, che Carducci ricordò nel “Ça Ira” con dei versi rimasti famosi a ricordo della battaglia di Valmy, la prima importante vittoria della Francia rivoluzionaria nella guerra contro la prima coalizione:

«- Viva la patria – Kellermann, levata

La spada in tra i cannoni, urla, serrate

De’ sanculotti l’epiche colonne.»

Con la parola “laicismo” noi rileviamo l’esigenza per le attività umane di svolgersi secondo regole proprie, che non siano a esse imposte dall’esterno, per fini o interessi diversi da quelli cui esse s’ispirano. Si tratta di un principio universale che può essere  invocato in nome di qualsiasi attività umana legittima. Che cosa intendiamo per legittima, ci riferiamo con tale termine a ogni attività che non ostacoli, distrugga o renda impossibile le altre. Di solito quando parliamo di laicismo, il pensiero va in Italia a uno dei massimi attori del Risorgimento nazionale accanto a Giuseppe Garibaldi e Giuseppe Mazzini, il primo ministro del regno di Sardegna, Camillo Benso conte di Cavour, che fissò i rapporti tra lo stato e la chiesa nella celebre frase “libera chiesa in libero stato”. In realtà il principio laico non può essere inteso solamente come la rivendicazione dell’autonomia dello Stato di fronte alla Chiesa o per meglio dire al clero. Esso è servito giustamente anche alla difesa dell’attività religiosa contro quella politica e serve anche oggi in molti paesi a questo scopo; come serve, non si deve mai dimenticarlo, a quello di sottrarre la scienza o in generale la sfera del sapere alle influenze estranee deformanti delle ideologie religiose e politiche dei pregiudizi di classe o di razza, ecc.

Il problema si pose con la fine del mondo antico che non conobbe alcun conflitto di principio fra le diverse attività umane. La questione si presentò in seguito alla caduta dell’Impero di Occidente e alla crescita all’interno della struttura statale, quasi con una funzione sussidiaria, dell’organizzazione ecclesiale facente capo al Vescovo di Roma, e l’affermarsi di nuove importanti realtà politiche barbariche, all’interno dell’impero, alla ricerca di una più alta legittimazione in assenza di una struttura centrale,  pubblica di potere.  Alla fine del quinto secolo fu sollevata da papa Gelasio I la teoria delle «due spade», in una lettera inviata all’imperatore Anastasio a Costantinopoli, che rimane una pietra miliare nella definizione dei campi d’azione della Chiesa e dello Stato. Con questa teoria di due poteri distinti, entrambi derivanti da Dio, quello del papa e quello dell’imperatore, era posto per la prima volta il principio di laicità e consentiva di rivendicare l’autonomia della sfera religiosa nei confronti di quella politica. Due sono i poteri che governano questo mondo: il potere sacro dei vescovi che ha maggiore peso dovendo rendere conto al tribunale di Dio anche per i re dei mortali, mentre nelle cose temporali, quelle riguardanti lo Stato, anche i preposti al culto di Dio prestano obbedienza alle leggi dell’imperatore.

Fu per molti secoli la dottrina ufficiale della chiesa che sarà ancora più avanti ribadita. Naturalmente il principio espresso in questa dottrina rimase lo stesso, quando le parti s’invertirono e la dottrina fu invocata a difendere il potere politico contro quello ecclesiastico: come fece Giovanni di Parigi come farà Dante, alcuni anni più tardi, nel De Monarchia; e come fecero Marsilio da Padova nel Defensor pacis (1324) e Guglielmo di Occam nei suoi scritti politici. Certamente le dottrine politiche ed ecclesiastiche di questi scrittori erano differenti e qualche volta opposte; ma è chiaro che la teoria dei due poteri non è altro che l’appello all’autonomia delle sfere rispettive di attività, e che quest’appello non trae la sua forza dalla particolarità delle dottrine ma dal riconoscimento dell’autonomia, che è il principio del laicismo.

Principio fondamentale che deve valere non soltanto nei rapporti tra l’attività politica e quella religiosa. Nella prima metà del sec. XIV Guglielmo di Occam rivendicò con energiche parole l’autonomia della ricerca filosofica. A proposito della condanna di alcune proposizioni di S. Tommaso fatta dal vescovo di Parigi nel 1277, egli scrisse: «Le asserzioni principalmente filosofiche, che non concernono la teologia, non devono essere da alcuno condannate o interdette, giacché in esse chiunque dev’essere libero di dire liberamente ciò che gli piace».

Più tardi, nel sec. XVII, Galileo affermò lo stesso principio nei confronti della scienza, polemizzando contro i limiti che possono venire alla scienza dall’autorità ecclesiastica. Famosa è la lettera che tra il febbraio e il marzo dell’anno 1615 scrisse a Maria Cristina di Lorena, madre del Granduca di Toscana, presso la cui corte operava come fisico e matematico. «La Sacra Scrittura e la natura, – egli scrisse -, procedono entrambe dal Verbo divino; ma mentre la parola di Dio ha dovuto adattarsi al limitato intendimento degli uomini ai quali si rivolgeva, la natura è inesorabile e immutabile e mai non trascende i termini delle leggi impostele, perché non si cura che le sue recondite ragioni siano o non siano comprese dagli uomini: sicché quello degli effetti naturali che o la sensata esperienza ci pone dinanzi agli occhi o le necessarie dimostrazioni ci concludono, non debba in conto alcun esser revocato in dubbio, non che condannato, per luoghi della scrittura che avessero nelle parole diverso sembiante».

Il principio del laicismo, che non va inteso come opposto alla fede o come sinonimo di ateismo o di agnosticismo, è stato fondamento della cultura moderna ed è indispensabile alla vita e allo sviluppo di tutti gli aspetti di questa cultura. Questo principio era diventato un’esigenza fondamentale della società civile che stava crescendo e rinvigorendo nei comuni italiani, francesi, belgi e tedeschi dal Medioevo al Rinascimento, e nelle tappe successive della sua progressiva prevalenza nella vita politica e civile dell’Occidente. Fino al Settecento la società europea era stata dominata dagli assolutismi politici e clericali in cui padroneggiava una nobiltà spesso corrotta e un clero asserviti alle ragioni del potere assoluto dei monarchi. La verità consisteva in un’unica verità che nessuno poteva contestare. Sia le teorie, quindi il pensiero, sia la moralità, quindi i comportamenti, erano controllati da un’istituzione sociale la Chiesa cattolica sostenuta dal suo braccio secolare rappresentato dal potere politico. Nel frattempo era avvenuto però qualcosa d’imprevedibile, l’unità della Chiesa era stata spezzata dalla Riforma che produsse la prima breccia importante in questo sistema, un vero e proprio vulnus.

Si aprì la strada tutt’altro che facile e incruenta alla nascita di una società dove la libertà fosse un valore e il contagio si allargò poco a poco a tutta Europa sostenuto dal progresso della scienza, dal grande prestigio di uno scienziato come Newton, di un grande filosofo come Locke e dalla diffusione della Massoneria speculativa.  Nella Francia del Settecento gli intellettuali erano in lotta contro un regime antiquato, corrotto ed esausto, per cui l’Inghilterra era considerata la terra della libertà e le teorie politiche che accompagnavano la filosofia di Locke diventarono popolari grazie anche alla loro diffusione da parte di un grande comunicatore come fu Voltaire. Nel frattempo erano nate le grandi accademie e in parallelo alla nascita della Royal Society di Londra fu costituita la prima Grande Loggia, la prima grande realizzazione della Massoneria speculativa che nella sua costituzione stabiliva “gli antichi doveri per i quali un libero muratore è tenuto per la sua condizione, a obbedire alla legge morale… lasciando a ognuno le proprie opinioni, vale a dire essere uomini buoni e sinceri o uomini di onore e onestà, quali che siano le denominazioni o le persuasioni che li possono distinguere; come risultato di ciò la Massoneria diviene centro di Unione”. Fu una vera e propria illuminazione.

Un professore tedesco, della Prussia Orientale, metodico e pedante, si chiamava Emmanuel Kant,  si era posto una domanda cui rispose con un famoso saggio scritto nel 1784 e che si intitolava “Risposta alla domanda: che cos’è l’illuminismo?”

Scrisse: “L’illuminismo è l’uscita dell’uomo dallo stato di minorità che egli deve imputare a se stesso. Minorità è l’incapacità di valersi del proprio intelletto senza la guida d’un altro. Imputabile a se stesso è questa minorità se la sua causa non dipende da difetto d’intelligenza, ma dalla mancanza di decisione e del coraggio di far uso del proprio intelletto senza essere guidato da un altro. Sapere aude! Abbi coraggio di servirti della tua propria intelligenza. E’ questo il motto dell’illuminismo”.

Questo imporsi della “ragione a tutti comune” sulle necessità primarie dell’esistenza, sugli egoismi individuali, sugli interessi di parte, sulle superstizioni, costituì una grande rivoluzione prima in Inghilterra poi in Francia dove deflagrò travolgendo le vecchie istituzioni. Fu il progresso, che caratterizzò il Secolo dei Lumi. Progresso non pacifico e lineare, ma al contrario costellato di contrasti, rivoluzioni, battute di arresto e inversioni di tendenza, come aveva previsto Kant, e come noi ben sappiamo dovendo  anche oggi fare i conti con i vincoli fisici e materiali che ostacolano la nostra vita, e con le chiusure, le violenze e gli egoismi che ci troviamo inevitabilmente di fronte nel tentativo di risolverli.

Come la Massoneria insegna, essere laici non significa essere indifferenti agli imperativi della coscienza, a quei principi morali universali che non sono negoziabili, “quelle leggi non scritte degli dei”,  e neppure accettare quella negazione di valori che caratterizza la nostra società ormai appiattita sull’indifferentismo etico e sull’insensibilità ai valori dello spirito, parola ormai desueta.

Una delle critiche che sono rivolte alla Massoneria, per lo più da fonti confessionali, è quella di non possedere una dottrina, ma soltanto un metodo di lavoro che per i suoi assunti la colloca nel vago e insoddisfacente dominio del relativismo. Secondo questa visione la verità, la sapienza assoluta, la gnosi, non sarebbe raggiungibile per definizione, anzi forse neppure concepibile, tutte le conoscenze e le opinioni umane sarebbero approssimazioni imperfette, determinate da uno specifico periodo storico o da una certa cultura, modificabili e superabili al variare del tempo o dello spazio, tutte quindi sono moderatamente legittime, accettabili con estrema prudenza e destinate nel tempo a svanire o mutare.

Questo atteggiamento deriverebbe, secondo alcuni, dal fatto che lo stesso pensiero massonico, in questo senso sarebbe sostanzialmente vanificato, perché anch’esso relativo, non  in grado di poggiare le sue affermazioni, siano etiche, scientifiche o metafisiche, su un apparato di riferimento assoluto e incontrovertibile.

Sotto un certo aspetto  questa critica potrebbe persino piacere a certi massoni poco avvertiti, che non sono sempre consapevoli del fatto che dichiarazioni, all’apparenza innocue e persino attraenti, che affermano che in Massoneria non esistono dogmi, che ogni opinione è lecita e rispettabile, che la libera ragione umana sia l’unico sistema di misura accettabile, possono condurre a una forma di rozzo empirismo o positivismo scettico, che in ultima analisi non può che ridursi al silenzio, rinunciando, in perfetta coerenza a qualunque opinione. Questa critica si fonda su un’interpretazione del fenomeno massonico basata su due analisi entrambe erronee, ma curiosamente accettata da massoni e non massoni. La prima considera come la più alta espressione della dottrina libero muratoria il pensiero espresso da alcuni intellettuali, che furono anche massoni. Dovrebbe invece sembrare ovvio, almeno per i massoni, che la dottrina massonica non può che trovarsi nella Tradizione esoterica come espressa in cerimonie, rituali e simboli, e che soltanto lì, nel luogo e nel modo tradizionale, unico legittimo di conservazione della memoria, si può e si deve cercare. Non certamente in scritti profani di singoli uomini, per quanto interessanti o acuti.

Il secondo errore nasce, e si perpetua, nel voler giudicare la Massoneria esaminando gli insegnamenti che appartengono al primo dei suoi gradi, quello di Apprendista. E’ sorprendente: in un sistema graduale dovrebbe sembrare chiaro a chiunque che all’inizio della scala iniziatica sono collocate le conoscenze meno importanti. Non a caso in quasi tutte le Obbedienze l’Apprendista non possiede nemmeno la totale qualificazione massonica trovandosi al passaggio di un punto di confine, con un occhio ancora rivolto al mondo profano. Praticare quasi esclusivamente questo grado, continuare a rimuginare pensieri vani sui suoi contenuti e presentarli come l’essenza stessa della Massoneria è quantomeno stravagante. Se tutto ciò è vero per la Massoneria in generale, lo è evidentemente ancor più per il R.S.A.A. che nella sua scala iniziatica propone un insegnamento rigoroso che non ha nulla di relativo.

Il discorso sul  laicismo, come un nostro valore di fondo, ci consente di arricchire l’Albo di Onore del Rito, che rappresenta “l’Orgoglio scozzese”, con il ricordo di un Fratello di cui ricorre proprio oggi il decimo anniversario della scomparsa:  Mario Pini.  Membro Attivo del nostro Supremo Consiglio ha ricoperto importanti incarichi nell’Ordine e nel Rito dove è stato il primo Ispettore regionale della neocostituita regione scozzese del Triveneto, ricordato da tutti  per la sua grande umanità. Scolaro nella professione e nelle scelte di vita di un grande massone, il Fr. Marino La Penna, che è stato S.G.C. ed ha svolto un’opera fondamentale per la riunificazione del Rito Scozzese negli anni Sessanta. Pini oltre a essere stato per molti anni l’anima a Trieste della Lega dei diritti dell’uomo ci ha lasciato importanti testimonianze sul suo pensiero molto preciso e determinato sul concetto di laicismo.

Egli ci ha sempre ricordato che gli autentici avversari del Laicismo e quindi della Massoneria sono gli indirizzi politici totalitari, che intendono impadronirsi del potere politico ed esercitarlo al solo scopo di conservarlo per sempre. Tali tendenze intendono riportare e mantenere le donne e gli uomini in uno stato di minorità. Pretendono, infatti, come è successo nel Novecento, di impadronirsi del corpo e dell’anima dell’uomo per impedirgli ogni critica o ribellione. Sono stati  il frutto della degenerazione  del pensiero  democratico in seguito alla deviazione dallo sviluppo lineare delle idee illuministiche. Questi indirizzi, sono oggi fortunatamente contrastati dalla stessa situazione oggettiva della società, che esige in ogni campo lo sviluppo del sapere scientifico che a sua volta esige l’autonomia delle sue regole, cioè un atteggiamento autenticamente laico, di cui Mario Pini è stato un grande esempio nel corso di tutta la sua vita.

Un movimento politico totalitario può essere agevolmente riconosciuto proprio dal suo atteggiamento nei confronti del principio di laicità: sia si appoggi a una confessione religiosa sia si appoggi a un’ideologia razzista o classista o ad altra qualsiasi, esso tende in primo luogo a sminuire, e al limite a distruggere, l’autonomia delle sfere spirituali, come tende a diminuire e a distruggere i diritti di libertà dei cittadini. Il Laicismo, come ci è stato insegnato da un maestro del neo illuminismo italiano, Nicola Abbagnano, è, sul piano dei rapporti delle attività umane fra loro, ciò che la libertà è sul piano dei rapporti degli uomini fra loro: è il limite o la misura che garantisce a quelle attività la possibilità di organizzarsi e svilupparsi, come la libertà è il limite e la misura che garantisce ai rapporti umani la possibilità di mantenersi e svilupparsi.

Da ciò l’impegno della Massoneria e in particolare del Rito Scozzese Antico e Accettato a tenere alto il livello di laicità e di libertà, con le opere e con il pensiero, per il bene dell’umanità e alla Gloria del G. A. D. U.

Luigi Milazzi 33° M. A.
Sovrano Gran Commendatore

Roma, 14 marzo 2015

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