Messaggio del SGC Luigi Milazzi alla Festa dell’ Isp. Reg. del Triveneto

I Fratelli Scozzesi del Triveneto hanno deciso di assumere come tema dell’annuale Festa Regionale del Rito un celebre verso di Dante: «Nati non foste per viver come bruti ma per seguir virtute e conoscenza». E’ stata una scelta impegnativa che mi ha fatto ripensare a uno scambio d’idee qualche tempo fa con un fratello tedesco, un giurista che parla correntemente diverse lingue e comprende l’italiano e lo legge tanto d’aver studiato la Divina Commedia nel testo originale.  Qualche mese dopo questo incontro, nella Basilica del Bode Museum di Berlino, si è svolta la cerimonia di conferimento del Premio italo-tedesco per la traduzione letteraria nel corso della quale è stato consegnato il premio postumo a Hartmut Köhler, per la sua traduzione in tedesco della Divina Commedia, pubblicata tra il 2010 e il 2012. Sono semplici coincidenze che confermano quanto sia intenso lo scambio tra le nostre culture.
Tutti ricordiamo, magari con l’aiuto di un bigino, i versi di Dante altrettanto celebri: “E quando il dente longobardo morse/ la Santa Chiesa, sotto le sue ali/ Carlo Magno, vincendo la soccorse” (Par. VI, 94-96.)
Ai tempi di Dante, nell’Europa medievale, la sintesi di cristianesimo e di romanità era avvenuta in una situazione geopolitica profondamente mutata rispetto all’impero dei Cesari che comprendeva parti dell’Asia e dell’Africa settentrionale. Il dominio di Carlo Magno non poteva corrispondere a quello degli imperatori romani «Poscia che Costantin l’aquila volse» e neppure lontanamente all’Europa di oggi anche se importanti sono le affinità spirituali e culturali che accomunano i popoli europei, dove un tedesco legge Dante nel testo originale e un italiano dovrebbe leggere Goethe ed entrambi conoscere Shakespeare.
In Dante l’Europa corrisponde all’idea dell’Impero che egli visse come una speranza, per noi l’Europa rappresenta oltre a una realtà politica ed economica una dimensione spirituale formatasi nella comune storia dei popoli. Un’entità che ha suscitato e rinsaldato, anche attraverso esperienze dolorose, forti e durature identità e vieppiù rafforzato una fratellanza fondata su valori ormai irrinunciabili come la libertà, l’uguaglianza, la fraternità. Una dimensione che non può prescindere dal pensiero di Giuseppe Mazzini che auspicava un’epoca nuova dopo di quella che aveva avuto il suo apice nella rivoluzione francese. Un’epoca destinata a costituire un’umanità rinnovata, a organizzare l’Europa in un consesso di popoli liberi, indipendenti, associati tra loro e uniti da un comune intento sotto un unico motto che comprendesse la libertà e l’uguaglianza e l’umanità, alla quale subordinava il concetto di Patria. Nella sua visione soltanto una federazione dei popoli europei avrebbe consentito di superare le nazioni, annullando le nefaste conseguenze dei nazionalismi e allentando e rimovendo le tensioni internazionali e i conflitti e avrebbe potuto favorire lo sviluppo dei popoli più poveri.

Un pensiero che doveva tradursi in azione quando, il 15 aprile 1834, Mazzini decise di fondare l’associazione segreta “Giovine Europa” insieme con altri giovani esuli italiani, polacchi e tedeschi. Erano pochi, ma erano, come ha rilevato Benedetto Croce, «Giovani temerari, definitisi “uomini del progresso e della libertà”, volevano soprattutto dar vita al “simbolo della fratellanza dei popoli di sopra alle lotte di esistenza dei singoli stati”». Concetti che Mazzini riprese in forma di esortazione nel saggio “I doveri dell’uomo” (1860) “… Né vi è speranza per voi se non nel miglioramento universale, nella fratellanza fra tutti i popoli dell’Europa e, per l’Europa, dell’Umanità”.
Questa Europa, che abbiamo oggi, non è certo quella che sognava Mazzini e neppure quella che vorremmo avere perché accarezza forse  le vanità di alcuni politici e di certi gruppi dirigenziali europei, ma non soddisfa i bisogni degli europei del XXI secolo. E’, d’altro canto, assolutamente necessaria e bisogna quindi pensare seriamente a una sua ristrutturazione democratica sulla base di una carta costituzionale condivisa. L’Unione è nata da un imprescindibile primario bisogno di una conciliazione generale tra tutti gli Stati europei, ma principalmente tra la Francia e la Germania che hanno costituito l’elemento storico di antagonismo nell’Europa occidentale. Non erano più sopportabili dei contrasti tra Stato e Stato da dirimersi senza scampo con il sacrificio di milioni di giovani, con il massacro delle popolazioni, con la distruzione di città e paesi, il tutto pagato a caro prezzo sia dai vinti sia dai vincitori.
C’è anche una seconda ragione che ha sostenuto la nascita di un’Europa unita, e cioè la mutazione del peso specifico dei suoi paesi nel mondo. Fino al 1939 tutte le decisioni erano prese dalle grandi potenze europee e sottoscritte nelle rispettive capitali, da Berlino a Parigi, a Londra, a Roma. Alla conclusione della seconda grande guerra nessuna di queste nazioni era più in grado di influenzare la scena politica mondiale. Per risanare le ferite della guerra, ricostruire moralmente e materialmente i propri paesi, recuperare prestigio e influenza a livello internazionale, gli Stati del nostro continente avevano estremo bisogno di una pace duratura che poteva essere assicurata soltanto dall’unione.
«L’Europa, fra tutti, è il continente più ricco di cultura, di mezzi, d’organizzazione, d’intelligenza. Essa ha tutte le qualità essenziali per costituire un’unità politica organica bene caratterizzata: la tradizione, una cultura di antiche e varie radici, la capacità economica, la creatività intellettuale e artistica; e soprattutto un profondo e radicato senso della libertà e del diritto» (dal discorso di Manlio Cecovini: Una nuova immagine per un’Europa vera, 1979.)
Anche noi auspichiamo un’Europa vera, capace di soddisfare i bisogni dei suoi popoli, ma che sostenga pure lo sviluppo dei popoli più poveri. Un’Europa che sia esportatrice nel mondo della cultura della pace e dei diritti, anche con i buoni esempi non solo a parole; ne abbiamo una prova ogni giorno per quanto riguarda i flussi migratori dal sud e dall’est del mondo, il controllo della criminalità, la difesa dalla concorrenza sleale di paesi che accettano lo sfruttamento della mano d’opera e via dicendo. Siamo convinti nel frattempo che la costruzione dell’Europa non possa essere un compito facile e certamente lungi dall’essere conclusa. E’ un processo che nasce e si svolge nella diffidenza reciproca e nell’insicurezza, aggravata oggi dalla crisi economica, dalla riproposizione di antichi pregiudizi. Un processo che richiede l’impegno e la partecipazione attiva di tutti i cittadini e delle organizzazioni democratiche senza riserve e retro pensieri, ma soprattutto molta concretezza. Sarà anche un’operazione dura e difficile, ma in dietro non si torna; non sarà tuttavia un’impresa meno gloriosa.
Quest’anno, nel portare il saluto del R.S.A.A alla Gran Loggia del G.O.I., ho voluto soffermarmi sul significato particolare del momento storico che stiamo vivendo, con riferimento anche alla situazione della comunità internazionale dove i problemi della crisi economica s’intrecciano con pericolose iniziative politiche – militari proprio ai confini dell’Europa. Poiché sullo sfondo di questi scenari sta sempre incombente il prosciugamento delle fonti energetiche tradizionali e il degrado ambientale del pianeta, il Rito Scozzese ha deciso di aprire un dibattito al riguardo, realizzando a gennaio di quest’anno un convegno nazionale, aperto al pubblico, dedicato ai problemi della decrescita e dello sviluppo. Si tratta di due temi nei quali sta scritto il futuro delle nostre società e il mantenimento di quei valori fondamentali come la libertà e l’uguaglianza che sono stati e lo sono tuttora l’orgoglio della Massoneria, ma sono pure nel DNA dell’Europa. Siamo convinti sostenitori dello sviluppo sostenibile, ma siamo altrettanto convinti che se non saranno assicurati a tutti decenti livelli di sussistenza e la speranza di un futuro in cui siano ripartiti con equità i beni disponibili, ci attendono tempi molto difficili in cui potrebbero ripresentarsi certi fantasmi del ‘900 che si sperava scomparsi per sempre.

Per questo motivo e per lo spirito cavalleresco che anima il Rito Scozzese, dove la giustizia e la difesa dei diritti dei più deboli sono al primo posto, abbiamo voluto unire la nostra voce a quella dei movimenti che si battono per la diffusione della cultura della pace e per il rifiuto delle inutili stragi, idee che devono essere ben radicate nelle menti degli uomini e delle donne con iniziative coraggiose.
Sta scritto nei nostri statuti che il Rito Scozzese ha come fine il progresso e il benessere dell’umanità e promuove nei fratelli scozzesi il perseguimento della rettitudine, della verità, della giustizia, della tolleranza e della saggezza. Se queste non sono sole parole, ma rappresentano i principi ispiratori della nostra operatività, ciò significa che a essi deve costantemente ispirarsi il perfezionamento interiore e la crescita di ciascuno di noi nella ricerca di quella via che porta alla virtù e alla conoscenza, che è il presupposto essenziale per l’intrapresa di qualsiasi azione. Virtù e conoscenza, perché se l’azione senza il pensiero si riduce a un vano agitarsi, questo programma senza impegni concreti di solidarietà verso i nostri simili si riduce a una realtà fatta della stessa sostanza dei sogni. Virtù e conoscenza come ha indicato nei suoi versi Dante Alighieri, dove la virtù, che oggi purtroppo è parola screditata, patetica, e se ne vedono in giro le tristi conseguenze, ritrovi il suo vero significato e ritorni a essere una virtù schietta, un valore intrinseco, coscienza di una potenza che sgorga liberamente dal nostro essere.
Per il bene dell’umanità e alla gloria del G.A.D.U.

Luigi Milazzi 33° SGC

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