Balaustra del Pot.mo e Ven.mo Gian-Paolo Barbi Sovrano Gran Commendatore del R.S.A.A., per il Solstizio d’Inverno

Carissimi Fratelli,
in questi giorni si può osservare che il nostro astro volge verso il suo punto più basso, è il Solstizio d’inverno.
Nella mia precedente balaustra avevo già fatto riferimento al simbolismo dei Solstizi e degli Equinozi,pertanto, non ritengo necessario dilungarmi in proposito. Mi limiterò, piuttosto, a rimarcare come in questo periodo il freddo e l’oscurità ci invitano al silenzio e alla solitudine. Ma questa fase non deve essere interpretata in senso negativo, anzi, può costituire un momento propizio per l’introspezione. Può essere, quindi, interessante, interrogarci sul nostro stesso essere Scozzesi.
Ho detto Essere, tale verbo indubbiamente ha significato di esistere, e, in quest’accezione è evidente che la presenza dell’Uomo e quella di un sasso sono equivalenti, in quanto entrambi sussistono.
Palesemente l’essere dell’Uomo non può limitarsi ad una semplice esteriorità; in questo contesto, l’Uomo appare quale ente privilegiato, infatti, non solo è in grado d’interrogarsi sulla propria esistenza, ma anche di valutarne le implicazioni e scegliere tra le diverse possibilità esistenziali che tale condizione gli conferisce. In definitiva il suo stato gli consente il passaggio dal semplice essere al più dinamico divenire.
Ed è proprio quest’ultimo concetto a fare da spartiacque, da un lato abbiamo coloro che si comportano come se la loro esistenza fosse infinita: non si pongono domande d’ordine metafisico, e, conseguentemente, i loro obiettivi sono assolutamente materiali; dall’altra, senz’altro in misura minore, ci sono quelli che s’interrogano sul significato della vita e della morte, riflessione che consente all’Uomo di aprirsi alla trascendenza, vista dapprima come tentativo di concepire una realtà intesa come ulteriore e, successivamente, nel modificare il proprio essere per aderire a tale condizione.
Nella religione cristiana esiste un antico scritto in latino di autore incerto, pare risalga al XV secolo, e c’è chi afferma che è il testo più letto dopo la Bibbia, ovviamente limitatamente a coloro che professano tale fede.
Si tratta – molti di voi senz’altro hanno già capito -del De Imitatione Christi. Lo scritto, come viene già esplicitato dal titolo, è una sorta di manuale volto alla salvazione del fedele mediante l’esempio del Cristo. Palesemente qui la finalità è l’annullamento dell’Io e la sua sostituzione con un modello esterno.
Noi non abbiamo niente del genere, l’Iniziato non cerca di divenire altro se non sé stesso, avendo quale unico obiettivo la reintegrazione in quel Corpo di Gloria che consente la piena esplicazione del nostro divenire.
A tal fine il Rituale non va visto come un semplice strumento indispensabile per aprire e chiudere i Lavori del Grado – tale lettura, peraltro fondamentale, costituisce il senso letterale – ma noi non possiamo dimenticare che l’intero Rituale è una sorta di psicodramma che si svolge all’interno di ognuno di noi, e questo è il senso allegorico; il terzo significato, che per Dante equivale a quello morale, è una chiara allusione al comportamento interiore che l’Iniziato deve mantenere, ma, indubbiamente, il più importante è l’ultimo, quello anagogico, termine che etimologicamente interpretato significa elevazione, verbo che, in riferimento al pensiero neoplatonico, è interpretabile quale passaggio dal sensibile all’Intellegibile. Quest’ultimo passaggio costituisce il vero Segreto Massonico in quanto incomunicabile. Richiamo la vostra attenzione sul fatto che non ho detto indicibile, ma incomunicabile, in quanto è strettamente connesso a un’intuizione, a sua volta legata a una modifica, sia pure transitoria, dell’abituale stato coscienziale.
In conclusione, carissimi Fratelli, i nostri Rituali sono una vera miniera di ricchezza spirituale, ma, come tutte le miniere, necessitano di un duro e continuo lavoro. A questo proposito non posso fare a meno di ricordare il celebre motto del Liber Mutus:
Ora, Lege, Lege, Lege, Relege, Labora et Invenies
Il verbo ora chiaramente non va inteso in senso religioso, ma in quello, senz’altro più completo, di medita, ma di questo disserteremo in un’altra occasione.

SOVRANO GRAN COMMENDATORE

Gian-Paolo Barbi, 33°

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