Utopia

Intervento del Pot.mo e Ven.mo Leo Taroni Sovrano Gran Commendatore del R.S.A.A. in occasione della Festa Regionale del Rito Scozzese Antico ed Accettato in Sardegna

Potentissimi Fratelli che ornate l’Oriente, ciascuno secondo le proprie qualificazioni,
Fratelli tutti, carissimi,
sono lieto ed onorato di porgervi il mio personale saluto, in uno con quello del Supremo Consiglio del Rito Scozzese Antico ed Accettato per la Giurisdizione Massonica Italiana.
Ho apprezzato, con fraterna partecipazione, le tavole architettoniche tracciate dai carissimi Maestri Segreti che mi hanno preceduto nel corso di questi lavori volti a celebrare, ritualmente, il nostro amatissimo rito.
Le parole che ho inteso assumono un particolare significato e valore, ben diverso da quello che avrebbero avuto se fossero state pronunciate in un’assise profana.
Il rito, quale metodo espressivo di un momento di sacralizzazione dovuta alla cosciente presenza dei fratelli, in quanto essi stessi portatori del sacro, consente di percepire ed affrontare in termini assolutamente iniziatici, le problematiche proprie dell’essere massoni.
Conseguentemente, intendo dunque partecipare con quest’animo ai nostri lavori: come voi anch’io maestro segreto, maestro che “secerne” il proprio essere interiore affinché l’utopia divenga e si concretizzi quale positiva realtà.
Per altro, non desidero affrontare defatiganti e, talvolta, inconcludenti disquisizioni filosofiche che, affrontando soltanto teoricamente tali problematiche, lasciano l’uomo indifeso ed irrealizzato nella propria quotidianità.
Sovente, ho percepito nell’animo dei miei fratelli un momento quasi simbiotico fra l’utopia e l’essere uomini del dubbio, uomini in continua ricerca di se stessi o di qualcosa che potrebbe essere fuori da noi.
Una puntuale valutazione del termine “utopia”, mi ha mostrato come esso sia applicato – pur con le diverse accezioni –  in svariati campi: dalla filosofia alla politica, dalla religione all’economia, dalla storia alle scienze ed alla tecnologia.
Talvolta assume aspetti che, seppur letterariamente possono apparire dei sinonimi, pure rappresentano qualcosa di ben definito agli occhi dei profani.
Parleremo quindi di sogni, di chimere, di ideali, di illusioni, di miraggi.
Il tutto mi appare come la perfetta rappresentazione del non essere.
Al riguardo, per adattarlo al tema della tavola architettonica di questa sera,  mi sovviene l’incipit del monologo di Amleto nella prima scena del terzo atto del dramma shakespeariano: “essere o non essere?”
Il celebre monologo è costellato dalle domande che Amleto rivolge a sé stesso e che lo pongono di fronte a numerose alternative, senza però che egli riesca a scegliere quella più adeguata o giusta, e dunque mantenendolo nel dubbio e nell’indugio.
Parallelamente e similmente, sono dell’avviso che l’utopia, in quanto foriera di numerose e variegate opzioni, costituisca uno status mentale che allontana il massone dalla sua intrinseca essenza.
Voi, noi massoni scozzesi, dobbiamo essere, siamo nella più consapevole concretezza perché questo nostro essere deve condurci fuori dal momento utopico.
Quanto realizzato dalla massoneria nel corso dei trecento anni dalla sua costituzione sostanzia quanto affermo.
La massoneria non ha concretizzato momenti utopici, la massoneria ha concretizzato il proprio percorso che si richiama alla tradizione.
Al riguardo, il mio pensiero, è fondamentalmente basato sul presupposto che il maestro massone, il maestro segreto del Rito Scozzese, debba dare effettiva sostanza alla propria interiore consapevolezza, volta al perseguimento della verità.
Questa ricerca deve centrarci nell’essere che, come tale, non può insistere nell’utopia perché sarebbe una manifesta contraddizione in termini: l’essere è indiscutibilmente una realtà.
Il non raggiungere questo stato comproverebbe la nostra incapacità di aver superati tutti quegli infingimenti propri della profanità che, in quanto tali, ci condizionano nel nostro percorso iniziatico.
Ritengo che il massone, consacrato maestro, non possa più essere ancorato a qualsiasi concetto sia dato dell’utopia.
L’utopia mi condurrebbe all’astrazione, alla mia non realizzazione nel qui e nell’ora.
Tutto questo si è tradotto nella concretizzazione del più alto ideale che l’umanità sia stata capace di concepire: “tu sei mio fratello”.
da questa semplice costatazione dell’universalità umana, della presa d’atto del “noi” a dispetto del “loro”, nella comprensione e rispetto della diversità, dell’altrui pensare.
Il riconoscere nell’altro l’essere che è in ciascuno di noi.
questa non è utopia, questo è il costante e quotidiano lavoro che dobbiamo compiere per la costruzione del nostro tempio interiore.

Leo Taroni, 33° SGC

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